UNA
LUCE SENZA TEMPO: IL MAROCCO TRA MEMORIA E LEGGENDA, SOGNO E REALTÀ
C'è
nebbia all'aeroporto, la stessa del finale del film. Ma forse è solo questo
l'unico punto di contatto tra me, la città e quell'indimenticabile trama. Il
resto sono ricordi confusi, intrisi di grigio, smog, cielo opaco, caos
cittadino e rumori di clacson. Una città dai forti contrasti Casablanca. Da un
lato la ville blanche, moderna e caotica, dall'altro le bidonville ai
margini della città. Tra questi due estremi restano incastonate nella memoria
alcune gemme: le palme sferzate dal vento del lungomare della Corniche, il
minareto dell'immensa moschea di Hassan II che si prolunga sul mare blu cobalto
di un giorno di novembre, e poi, lo sguardo degli anziani seduti nei bar
lontani dal centro, con i loro gesti lenti, sospesi nel tempo, quasi ad
arginare i ritmi incalzanti della metropoli.
Più
nitido il ricordo del viaggio verso le città imperiali di Meknes e Fes. Poche
centinaia di km separano la metropoli costiera dalle due città Patrimoni
Unesco, ma è davvero come entrare in una dimensione parallela. Il grigio
dell’asfalto lascia spazio ai colori della terra, i toni caldi del deserto
addolciscono le sfumature delle case, intorno a me un arcobaleno di colori, dal
giallo ocra al marrone dei legni intarsiati e poi il verde dell’Islam a
contornare portali e tetti e ancora il blu dei mosaici e i ricami avorio delle
architetture merlate. E, su tutto, il celeste chiaro del cielo, un balsamo per gli
occhi persi in una luce senza tempo.
Il
Marocco più autentico, suggestivo e tradizionale, risiede qui. A Meknes, la
città dei cento minareti, un gioiello incorniciato da chilometri di mura e
bastioni, da porte monumentali d'accesso come quella di Bab Mansour. Da qui,
intraprendo la visita su di una vecchia carrozza. Il conducente mi fa da guida
in un inglese improbabile ma ricco di gestualità. Mi sento a casa e smarrita, a
mio agio e nelle spire di un'avventura che mi conduce verso un altrove ricco di
fascino: visito la Medina, la Kasbah, i palazzi in stile ispano-moresco, i
bagni turchi e i granai e infine comprendo perché questa città viene chiamata
anche la Versailles del Marocco. Concludo la giornata seduta in un bar nella
piazza di El-Hedim sorseggiando un tè e pensando alla prossima meta: Fes, la
più antica delle città imperiali nonché capitale spirituale del Marocco.
Vi
giungo la mattina presto ed è giorno di mercato. Mi immergo subito dentro la
medina, la più grande del mondo arabo. Vale la pena perdersi nel dedalo di
viuzze di Fès el-Bali, la città vecchia, tra le Madrase, la moschea Karaouine e
le botteghe artigiane. La visita alle concerie di Chouara è il momento cardine,
l'attimo in cui entrare nella dimensione più autentica del viaggio: quello
dell'incontro con la verità di un luogo. La lavorazione delle pelli qui è fatta
ancora con tecniche che risalgono alla notte dei tempi. L'impatto visivo è
straordinario ma altrettanto grande è la sensazione di essere ospite di una
terra antica, la cui ricchezza risiede in questa sua identità preservata
inalterata nel tempo. E in questo tripudio di colori e miasmi, di carretti e
muli, di mani alacri di artigiani e scene di ordinaria macelleria, avverto
quasi un senso di vertigine e smarrimento. Questa sollecitazione estrema dei
sensi, questa necessità di riallineare il mio modo di sentire con la vastità
delle esperienze umane, dona senso e sapore a questo mio vagare. Cos’è che
muove avanti il mio passo? Forse la fame di luce, di stupore, la voglia di perdermi
in infiniti altrove per cogliere in uno sguardo la bellezza del mondo.
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